In questo articolo vorrei condividere con voi qualche considerazione sulla Lentezza, tematica che mi sta molto a cuore e termine che mi frulla in testa da diversi giorni.
Prima cosa, e per chiarirmi anche un po’ le idee, ho cercato il significato della parola Lentezza sul vocabolario.
Per completezza, ho pensato di riportare anche il significato di quello che viene considerato il suo contrario, la Velocità.
Qui di seguito riporto quanto trovato sul dizionario di Repubblica.
Lentezza
[len-téz-za] s.f. Carattere di chi, di ciò che è lento.
Velocità
[ve-lo-ci-tà] s.f. inv. Qualità di chi, di ciò che è veloce.
Vedo subito qualcosa che non mi torna (oppure sì), certo avrei potuto scegliere qualche altro dizionario, ma trovo questa spiegazione dei due termini particolarmente eclatante di un pensiero, io direi erroneamente, e ampiamente, diffuso.
La lentezza viene definita come carattere/caratteristica mentre la velocità come qualità.
E allora la velocità è una qualità, appunto, vincente, produttiva, efficace, auspicabile. E la lentezza è una caratteristica sulla quale bisogna intervenire, ci fa perdere – che sia tempo, soldi, o dignità?
Proviamo ad interrogarci sul perché?
Ma prima bisogna introdurre un altro elemento al quale velocità e lentezza sono irrimediabilmente legati, il Tempo.
Sempre dallo stesso dizionario ecco la sua definizione.
Tempo
[tèm-po] s.m. Il continuo fluire di istanti successivi che fa da sfondo all’evolversi di cose e persone e al succedersi di eventi umani e materiali.
Quello che mi chiedo è: quando ad una tal cosa è stata attribuita l’etichetta di essere lenta o di essere veloce? E certamente questo attributo, in alcuni ambiti sopratutto, si è anche modificato nel tempo. Ma in funziona di che?
Faccio un esempio.
La produzione di un libro.
Prima fase: i libri non esistono.
Seconda fase: tavolette di pietra, di legno, papiri e pergamene, scalpelli, e poi inchiostro e penne d’uccello.
Terza fase: fogli di carta rilegata, penne ed inchiostro.
Quarta fase: carta e stampa a caratteri mobili.
Quinta fase: carta e stampa a vapore.
… insomma fino ad arrivare ad oggi, alla digitalizzazione.
Non voglio dire che il cambio di passo non abbia portato effetti positivi, sopratutto analizzando la questione ex-post. La digitalizzazione ha consentito di “produrre” un libro e anche di distribuirlo in tempi molto rapidi.
Certo poi pensarlo, inventarlo e scriverlo – un libro – è tutta un’altra storia. Ci vuole il suo tempo. No? Mica puoi dire a uno scrittore che è lento nello scrivere un libro.
O forse sì? Magari qualche editore potrebbe incalzare, per rispettare il contratto? I lettori, che fremono in attesa?
E allora da cosa dipende, spesso, la percezione dello scorrere del tempo, sul cui altare abbiamo sacrificato molto, se non addirittura troppo?
La produttività.
Nel passaggio tra una fase e l’altra, in questo cambio di passo appunto, abbiamo indubbiamente guadagnato qualcosa, ma a quale prezzo?
Io rivendico!
La dignità, la giustezza, l’importanza, il valore che per ogni cosa ci voglia il suo tempo, che è un parametro differente per ognuno di noi e variabile a seconda del contesto. Ma non per questo migliore o peggiore per definizione!
Il viaggio a piedi, per esempio, non è un andare lentamente, è il modo giusto – forse l’unico modo – per avere la possibilità di vedere le cose, incontrarle, farne parte.