Quale relazione hanno camminare in natura e creatività?
Camminare vuol dire stare nel movimento, compiere uno spostamento, seppur, apparentemente, solo fisico.
Ma stare nell’azione è già, in un certo qual modo, qualcosa di performativo, di creativo.
Camminare in natura significa riempirsi di suggestioni che vanno ad ampliare il nostro immaginario. Scrive Alejandro Jodorowsky: “Ogni dimensione che viene assimilata, fa crescere il nostro essere.”
E ancora: “Dal punto di vista storico, l’essere umano ha cominciato a vivere rinchiuso in ciò che era, in se stesso. Poi si è reso conto che poteva lasciare entrare dentro di sé elementi che non si trovavano in lui, bensì al di fuori del suo corpo. Ci hanno spinto nella natura, ed ecco che la natura siamo noi!“
Quando siamo in natura abbracciamo il concetto di natura, iniziamo a farne parte, lo assimiliamo e possiamo provare ad immaginare noi stessi, come natura o, per esempio, come uno degli elementi che la compongono: un albero, un animale, una pietra.
Immaginare di essere altro, ma anche –essere- altrove
Questo tipo di assimilazioni consentono di aprirsi, di mollare gli ormeggi e liberarsi verso il raggiungimento di uno stato superiore di benessere psicofisico.
Come possiamo migliorare la nostra immaginazione e dunque anche la nostra creatività (e stare meglio)?
Camminando, in natura, come appena detto ma anche con altri esercizi che sviluppino l’espressività dell’inconscio. Uno di questi è il Caviardage.
Cos’è il Caviardage?
La parola deriva dal francese caviar, caviale, e potrebbe essere tradotta come “cavialeggiare”, cioè, annerire.
Cosa si annerisce? Si oscurano le parole che non servono, per mettere in evidenza invece quelle prescelte, che, insieme, andranno a formare una frase, un pensiero, un componimento poetico.
La parola diventa scoperta e meraviglia, gioco, creazione, ma anche flusso di coscienza.
In quante occasioni abbiamo pensato, o detto, non trovo le parole per esprimere quello che sento. Il Caviardage potrebbe essere una buona pratica, per allenarsi proprio a trovare le parole, perché la ricerca, in questo caso, è più semplice: avviene in uno spazio che ha dei confini, quelli di una pagina di un libro.
Questo esperimento creativo porta ad una riscoperta di se stessi, perché spesso, anche in maniera stupefacente, sono le parole a scegliere di emergere, in questo senso la parola diviene fonte di cura, di rielaborazione, di liberazione di emozioni sottese.
Le parole, come passi, la creatività come cammino, quindi.
“Le parole sono segni sulla pelle del mondo, sono in ordine sparso, attorno alle cose o nel loro oscuro fondo. Sono richiamo per esseri umani e una breccia, una spaccatura che allarga la luce. La parola permette l’accesso alla pura verità(…) ed è anche prassi, un gesto carico di conseguenze: modella l’anima, la istruisce a irriducibile tenerezza.” (Chandra Livia Candiani)